La fortuna dei conti di deposito
Si sa: l’italiano, per sua natura, è un essere dubitante e, in quanto tale, avverso al rischio. La predilezione per forme di risparmio che assicurino un minimo rendimento a fronte di una bassissima rischiosità, caratterizzano da sempre la stragrande maggioranza dei portafogli italici investiti, ‘diversificati’, se così si può dire, esclusivamente dalla diversa scadenza delle somme immobilizzate (prevalentemente buoni fruttiferi postali e del Tesoro). Con l’arrivo dei conti di deposito e la crescente necessità degli istituti bancari di reperire liquidità, la preferenza dei risparmiatori, prima bipartita tra Posta e Stato, ha aperto le porte al nuovo strumento che, dallo scorso anno, sta avendo la meglio sui primi due.
Il deposito batte lo Stato
Con l’assottigliarsi del rischio Paese ed un primo segnale di ripresa economica, anche i rendimenti sui titoli garantiti dal Tesoro sono andati via via riducendosi, assistendo al sorpasso degli strumenti di risparmio bancari, più proficui in tempi minori (con un differenziale sulle cifre immobilizzate a due anni di circa l’1,60%).
Bassa rischiosità e, a parità di condizioni, rendimenti superiori, con un solo appunto: una maggiore difficoltà nello smobilizzo delle somme. Se infatti buoni del Tesoro e titoli statali godono di un mercato di scambio dinamico e vivo, in cui la compravendita di BOT e BTP asseconda le mutevoli preferenze degli investitori, i conti di deposito, immobilizzando somme non standardizzate e di ammontare non fisso, in caso di necessità potrebbero necessitare, per il rilascio del capitale, tempi più lunghi e oneri aggiuntivi, a discrezione delle disponibilità della banca.
Forse, quindi, è augurabile che in un futuro ci si rivolga sempre di più agli strumenti bancari, per ottenere profitti maggiori e lasciare che il rendimento sui titoli di Stato (ovvero che l’ammontare del debito del Paese) cali con il passare del tempo.